Si narra che la Mindfulness sia una pratica terapeutica molto diffusa, sembra nascere dalle filosofie dell’estremo oriente ed arriva a noi, seducendo alcune correnti psicologiche, che la implementano tra gli strumenti di empowerment del paziente.
Il punto fermo di questa attività è l’essere sempre presenti a se stessi quindi, ogni azione quotidiana, deve avere la nostra più totale attenzione e dedizione.
Risulta certamente complesso, se non estremamente utopico, chiedere ad una persona con psicosi varie di essere presente a sé stessa.
Quelle volte che capita, è una vittoria.
Le altre, semplice routine.
Ma ci sono degli avvenimenti collocati lungo un labile confine ed uno di questi mi sorprese il 17 Ottobre 2019.
Giuseppe si avvicina a Stefano, che mangia il suo gelato, con fare controllante e sospettoso, con le stesse capacità mimetiche dell’ispettore Zenigata ma appare tutto sommato tranquillo e sorridente. Lo osservo mentre, con scatto felino, avvicina il suo volto a quello della povera vittima designata ma sembra fare tutto con estrema concentrazione, è presente a sé stesso, anche se è chiaramente visibile che ha uno scopo, tutto sommato, però, mi sembra una vittoria. Porta le mani dietro la schiena, come a voler dimostrare di essere innocuo ma nell’immediato momento successivo, con un movimento rapido e assolutamente disumano, addenta il gelato di Stefano. Ride. Entrambi ridono. Io sono sconvolta.
Ripenso, con fare critico, all’origine della Mindfulness, al suo utilizzo con alcuni tipi di pazienti e a quanto con i pazienti psicotici MAI ci FU ‘L NESS.
Molto interessante!
"Mi piace""Mi piace"